Recensione “La cripta dei cappuccini” – Joseph Roth

 

TRAMA: Con “La Cripta dei Cappuccini”, Roth riprende la storia della famiglia Trotta, il cui epos aveva già narrato nella “Marcia di Radetzky”, per aggiungere una necessaria conclusione a quella vicenda che si era fermata sulla soglia della fine. Un nuovo capitolo di una saga che esplora l’inabissarsi di un mondo in cui coesistono l’Impero asburgico e la singolarissima civiltà ebraica dell’Europa orientale, entrambi condannati alla rovina e alla dispersione.

TITOLO: La cripta dei cappuccini
AUTORE: Joseph Roth
EDITORE: Adelphi
DATA DI PUBBLICAZIONE: 25 Settembre 1989
PAGINE: 196


Recensione

“Dove devo andare, ora, io, un Trotta?”

Diviene difficile parlare di questo romanzo senza fare il benché minimo confronto con l’opera forse più conosciuta di Joseph Roth, La marcia di Radetzky, anche e soprattutto perché questo libro si pone come un continuo del romanzo sopracitato e permette di avere un quadro completo e chiaro sul declino dell’Impero Asburgico. Il paragone è inevitabile, ma cercherò di attenermi al solo pensiero su questo romanzo.

In questa breve opera viene analizzata principalmente la fase di declino dell’Impero asburgico. Un racconto immagine di un’epoca che ci porta prima all’interno del primo conflitto mondiale fino a presentarci già i primi segnali di antisemitismo, dopo il crollo definitivo dell’impero. Il protagonista è Francesco Ferdinando Trotta, un giovane della borghesia di Vienna che viene chiamato alle armi. Seguiamo, attraverso i suoi occhi, l’intero conflitto, con i suoi alti e bassi, fino al rientro in patria, dove si troverà a fare i conti con una Vienna cambiata nel profondo.

La cripta dei cappuccini è un romanzo molto scorrevole che si legge in poco tempo ma che riesce a mettere nero su bianco diverse tematiche, tutte affrontate con dedizione e precisione le quali permettono al lettore di immergersi completamente nell’epoca descritta. La tematica più visibile e più accentuata è sicuramente quella relativa alla fine di un’epoca e di una dinastia. Il conflitto mondiale, a cui Trotta prende parte, porta con sé il disfacimento dell’impero Asburgico. Francesco, deve fare i conti con una Vienna nella quale i segni della guerra sono molto visibili: da giovane aristocratico della piccola nobiltà, si ritrova ad essere un uomo senza beni e senza nessuna capacità a livello professionale. Attraverso la sua figura, l’autore ci mostra il declino totale della società, che non mina solo le persone meno abbienti, ma che colpisce tutti. 

Oltre a questa tematica assistiamo impotenti ai primi bagliori di un antisemitismo che abbraccia anche la città di Vienna; appena accennato, ma preludio di una storia che conosciamo fin troppo bene. 

Quello che mi ha colpito maggiormente è sicuramente la figura di Francesco e l’evoluzione del suo personaggio all’interno dell’opera. Un personaggio completo del quale conosciamo pensieri e timori. Un giovane benestante che crede nella patria e nella forza dell’impero austro-ungarico nel quale è cresciuto fino a quel momento. Un giovane scanzonato che passa le sue giornate, prima di dover andare al fronte, ad oziare ed a bighellonare insieme ai suoi coetanei. Nessuna preoccupazione alla quale dover dar risposta, nessun pensiero nella testa. Ma la guerra cambia tutto e tutti, ed anche Francesco non ne esce illeso. E, dopo il conflitto, quando rientra in patria si ritrova a fare i conti con una realtà cambiata dalla guerra. Di quell’impero, che aveva unito sotto un’unica bandiera popoli con culture e religioni differenti, dopo il conflitto non ne rimane che un semplice ricordo. Attraverso la sua figura scopriamo la rassegnazione di un’intera nazione, dove il futuro appare in completo disfacimento. Assistiamo all’evoluzione del suo personaggio: dalla sua ingenuità e dalla sua cieca fiducia nell’idea dell’impero e dei suoi valori, al completo disfacimento di ogni speranza e certezza per il futuro. Francesco ci appare senza più cardini, come una banderuola al vento.

A questo si accompagna un senso di malinconia verso ciò che è ormai perduto che pervade l’intera narrazione. Tutte le pagine, le battute tra i personaggi e le singole azioni sono intrise di questo senso di perdita: perdita di qualcosa che è cambiato per sempre e timore per cosa invece riserverà il domani. Una perdita nei confronti di ciò che è stato che aleggia e si ripercuote in tutto quello che accadrà: difficile non rimanere turbati da quello che sta capitando a Trotta. Questa malinconia assieme al decadentismo è accentuata anche da un lessico ricercato, che fa uso in maniera strategica di termini oramai obsoleti o in disuso, solo per rimarcare ancora di più il senso di appartenenza nei confronti di qualcosa che oramai non c’è più. 

Da una trama ricca di dettagli e nozioni storiche, il risultato de La cripta dei cappuccini è un romanzo che diviene un affresco nitido su un particolare periodo storico. Uno spaccato storico ricco di verità che porterà a conoscere nuove sfaccettature di un passato non troppo lontano.

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